Si devono chiudere le case di tolleranza?

«Europa Socialista», a. II, n. 6, 30 marzo 1947, p. 9.

SI DEVONO CHIUDERE LE CASE DI TOLLERANZA?

Pare, secondo quanto è stato affermato da qualche giornale romano, che la bomba esplosa giorni fa all’ingresso di una casa di tolleranza in via degli Avignonesi sia stata deposta dalla mano sdegnosa di un moralista che avrebbe voluto cosí sottolineare, in maniera in verità piuttosto insolita, la sua protesta contro un sistema a suo modo legale e la volontà di aprire una polemica e una campagna. Nessuno certo potrà approvare questa specie di azione diretta che potrà apparire sproporzionata al suo oggetto, ma, fuori di ogni ironia che certi argomenti pare debbano ad ogni modo stimolare, l’energia perentoria con cui la discussione è stata aperta non è certo senza significato in rapporto all’insensibilità comune ed alla corazza aggiunta di ridicolo con cui il buon senso italiano, o se si vuole latino, protegge il minor male contro gli assalti irriguardosi di una combattiva e spregiudicata coscienza morale. Affinché gli stimoli di segreti impeti non escano dai limiti utili della persona e si organizzino in costume contro i sedimenti solenni e piacevoli della consuetudine e dell’ordine esistente, il ridicolo agisce da noi sul presente confinando nella santità innocua del passato ogni generosa volontà di frattura. E chi può tollerare l’idea del ridicolo in cui cadrebbe l’iniziatore di una campagna abolizionistica nei confronti della prostituzione ufficiale?

Ben piú decisivo della bomba con cui il timido moralista avrebbe sfogato il suo sdegno riposto è dunque un pacato e necessario discorso, un invito umano alla discussione su di un problema a cui la maggior parte anche degli uomini di coscienza ha dato l’attenzione di una saggezza senza profondità e la comoda risposta del ridicolo. E se in tutt’altre faccende affaccendati, gli intellettuali di avanguardia potrebbero trovare superfluo o grottescamente ottocentesco, protestantico, vociano, un intervento della cultura militante, vorremmo ricordare che nell’accesa vitalità rivoluzionaria russa uno dei contrasti piú sostanziosi fra il vecchio e il nuovo regime fu quello del pope che con il commissario di polizia va ad inaugurare un nuovo bordello e, dall’altra parte, del nuovo legislatore che assegna la deportazione a chi esercita la tratta delle bianche, gestisce case di piacere, o comunque lucra direttamente o indirettamente sulla prostituzione.

Proprio come intellettuali di sinistra e come italiani il problema ci interessa, sicuri che l’umiliante accettazione del buon senso è decisamente negativa sul piano di concreta moralità, di civiltà su cui dobbiamo cominciare a muoverci se vogliamo smettere di giocare con le parole, se accettiamo sul serio il principio rivoluzionario portandolo avanti coerentemente e ricordandoci sempre che abbiamo troppo conformismo e saggezza nel sangue per temere i pericoli di una tensione risoluta ed estremista in campo morale.

Infatti se il problema generale della prostituzione si risolve con un duplice ed unico rivolgimento di rapporti economici e di rinnovata educazione (ben lontani dall’indicazione lombrosiana del tipo di donna naturalmente prostituta), ciò che piú deve colpirci nella situazione italiana è soprattutto il regime di «tolleranza» con cui si vorrebbe evitare ipocritamente il riconoscimento senza giungere all’abolizione. Che in una nazione civile ci siano delle prostitute può essere una realtà da combattere con adeguati mezzi, ma che lo Stato ammetta e permetta la continua e legittima consumazione di un mercato infame in cui esseri umani vengono degradati a semplici strumenti (tanto che neppure al voto sono poi ammessi questi cittadini senza «città»), il rispettato traffico delle bianche, l’esistenza di una categoria di «imprenditori» di simili aziende, questo è ciò che ferisce una società che si elevi al di sopra di una semplice provvidenza igienica.

La Francia dopo il martirio dell’occupazione ha avuto il coraggio di far chiudere le case di tolleranza. Noi vorremmo che l’Italia, smentendo una tradizionale opacità morale, ne seguisse l’esempio e anche in questo modo desse vita alle parole magnanime ma altrimenti esangui che va scrivendo nella nuova Costituzione. E saremmo lieti intanto che quanto qui è un breve accenno di cronaca divenisse lo spunto di una discussione coraggiosa e spregiudicata.